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27 novembre 2014

COMINCIA A MANCARMI ... "BETTINO CRAXI ALLA LUCE DEGLI SCRITTI INEDITI (Il libro di Andrea Spiri)"

da Affaritaliani di Daniele Riosa


L'Italia vista da Hammamet attraverso le grandi lenti degli occhiali di Bettino Craxi. E' questo, in estrema sintesi, il succo del libro curato dallo storico Andrea Spiri, Bettino Craxi, io parlo e continuerò a parlare(edito da Mondadori) che raccoglie sei anni (1994-2000) di scritti, in gran parte inediti, dell'ex leader socialista. Scritti in cui Craxi, dalla Tunisia, (tralasciamo qui la questione se il suo fosse un esilio o una latitanza) commenta le vicissitudini della vita politica italiana e quella da lui attraversate in ambito politico-giudiziario.





Le parole dell'ex presidente del Consiglio, sono pietre, intrise di livore e disprezzo per chi ne ha decretato la fine politica: ovvero quei magistrati che a suo dire "hanno usato due pesi e due misure" nell'inchiesta Mani pulite. Nei testi lasciati ai posteri vi è una chiamata di correo, che ricalca i suoi famosi discorsi in Parlamento, su tutti quello del luglio 1992 e quello dell'aprile dell'anno successivo. In sostanza Craxi riconosceva la sua colpevolezza, ovvero l'aver ricevuto finanziamenti illeciti pe le attività del PSI, ma giungeva a sostenere di non essere né più, né meno colpevole di tutti gli altri. I testi di Craxi non contengono solo un'appassionata e strenua autodifesa, ma anche giudizi politici interessanti se non lungimiranti. Il suo giudizio sulla Seconda Repubblica è tranchant: la definisce semplicemente inesistente, giacché "i suoi esponenti politici sono in gran parte figli e figliastri della prima".
L'unico modo per dar vita a una nuova Repubblica sarebbe quello di "mettere mano a una revisione costituzionale attraverso l'elezione diretta di un'Assemblea Costituente". E anche su questo è scettico, conscio dell'immobilismo atavico della classe politica e di "un’italietta incapace di riformarsi".
Sono gli stessi protagonisti della cosiddetta Seconda Repubblica a confermare il suo scetticismo. Craxi ne ha per tutti. Il solo Silvio Berlusconi, considerato “vittima dalla giustizia politica”, può subentrare sulla scena politica con la stimmate del nuovo che avanza: "Come uomo e imprenditore dinamico, come cultura pratica e come stile di vita, è agli antipodi di questo vecchio residuato del sistema invecchiato, sepolcro imbiancato, ipocrita d'animo e baciapile di stile burocratico".
Significativo il passaggio in cui l'ex leader socialista rivela un retroscena sul primo avviso di garanzia ricevuto da Berlusconi il 22 novembre 1994. Egli sostiene di averne avuto notizia già a luglio (la fonte resta sconosciuta) "mese in cui si fanno o preparano le crisi, si ordiscono congiure prima di andare in vacanza". Qui avanza il teorema della giustizia a orologeria, cavalcato con decisione da Forza Italia fino alle cronache di questi giorni.

Sferzante il giudizio su Romano Prodi definito "un boiardo di Stato". A Massimo D'Alema,  Craxi rinfaccia il suo passato comunista: "D'Alema non poteva non essere a conoscenza del flusso finanziario proveniente dall'Est e diretto al Pci. Ma lui non ne parla mai. Ha cancellato il passato". Da Giuliano Amato, uno dei suoi più stretti collaboratori, si sente tradito, soprattutto umanamente: "Da cinque anni, da quando vivo come esiliato, il signor Amato non si è mai fatto vivo, anche quando risalivano verso l'Italia le voci inequivocabili riguardanti le mie precarie condizioni  di salute" (ricordiamo che Craxi era fortemente diabetico).
Dal punto di vista politico, scrive Craxi, il dottor Sottile "ha prima figurato nella lista dei becchini che hanno contribuito, con la loro pavidità all'affossamento de PSI, poi si è messo in bella mostra come extra terrestre, e cioè come uomo nuovo che si affaccia alla vita politica dopo aver passato un ventennio sulla luna, e dopo ancora si è impancato a sputar sentenze morali. Un po'troppo". Pleonastico riportare il giudizio di Craxi nei confronti dei membri del pool di Mani Pulite.  Nel capitolo dedicato ai magistrati milanesi è sufficiente riportare il giudizio su Di Pietro ritenuto "un falso eroe. Non è stato altro che il braccio armato più rumoroso ed esibizionista della "falsa rivoluzione”. E' stato lo squadrista, l'eroe della milizia...".
Nelle pagine conclusive Craxi difende strenuamente la sua carriera politica: "Per una vita di lavoro e di lotta politica il “gangster Craxi” dovrebbe essere ringraziato da chi non ha perso la memoria, il senso di giustizia, quando non addirittura il lume della ragione”. Per questo “non gli consentirò di scrivere la storia dei vincitori, io questo non glielo consentirò”.  Un proposito che  l'ex leader socialista ha perseguito  in tutte le pagine di questo libro, che seppur criticabile, vista la totale assenza di autocritica, rimane un documento importante per ripercorrere gli anni di Tangentopoli e quelli dei primi vagiti della Seconda Repubblica.



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Ho conosciuto Bettino Craxi nel febbraio del 1985, era Presidente del Consiglio io ero una giovane consulente di comunicazione aziendale. 
Quasi tutti i lunedì andavo a trovarlo in piazza Duomo 19, dove Enza, la sua segretaria, doveva governare una coda infinita di ospiti più o meno graditi suddivisi in due o tre sale d'attesa.  

Era un uomo di grande carisma con un carattere forte ma allo stesso tempo riservato e timido. Uomo di grande spessore, sensibilità e intelligenza. 
Credo che le nostre lunghe conversazioni rappresentassero per lui un momento di evasione dai problemi politici e di coalizione. Per me erano momenti importanti che vivevo con spensierata incredulità, ma di cui comprendevo il grande rilievo.

Parlavamo di tutto, del mio lavoro, delle nostre vite, di mio figlio e dei suoi, della politica (a volte ci interrompevano telefonate curiose ... ricordo Ciriaco De Mita) e del Torino di cui eravamo entrambi tifosi. Spesso mi offrì il suo aiuto per il mio lavoro, ma non lo accettai. Fortunatamente non ne avevo bisogno. La suo offerta però era affettuosa, non interessata.
Ricordo una delle sue frasi cortesi "Chiacchierare con te è come passeggiare a piedi nudi in un campo fiorito nel mese di maggio, respiro ossigeno, freschezza e verità" 
Lui mi dava del "tu" e voleva che gli dessi del "tu" ma non ci riuscivo e lo chiamavo "Presidente" anche se conversavamo come due amici veri. 
Quei dialoghi mi hanno insegnato tantissimo e soprattutto mi hanno mostrato un uomo che in quel periodo aveva un potere infinito, ma che aveva bisogno di umanità e sapeva essere vero e schietto. 
Un uomo non distante dalla realtà come molti altri politici e molti altri suoi successori, un uomo che ha sofferto enormemente per ciò che era e rappresentava e che certamente non ha mai avuto le responsabilità che gli sono state attribuite.
Lo sentii telefonicamente quando era "prigioniero" ad Hammamet ma non lo rividi più, purtroppo.

Ritengo sia stato e sia tuttora uno degli uomini politici più seri, preparati e intensi della nostra Repubblica. 






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